E subito riprende il viaggio…

Elio Armano

 

Itinerario in sette approdi: Mazara

Galleria Santo Vassallo

30 giugno - 28 luglio 2018

 



Dietro ogni mostra c’è una storia ed ogni storia implica un percorso, nel tempo e nello spazio: Mazara è l’ultimo e difficile approdo di un itinerario che si dipana da anni, declinando attraverso mutazioni e varianti un linguaggio ben preciso, un alfabeto di segni che ha via via preso una forma definita e riconoscibile. Ma da questo approdo, come sottende il titolo rubato a Ungaretti, questa storia non potrà che continuare. Mazara rappresenta, dunque, una sosta tra un prima e un dopo, con sviluppi che non mi è dato sapere ma che mi porteranno altrove, ripartendo dal tema delle imbarcazioni che, nate qui davanti al Mediterraneo dei pescatori e dei migranti, sono le ultime cose del mio fare. Questa mostra è una sorta di biografia articolata in capitoli plastici, rappresentati da gruppi di oggetti che poggiano sul pavimento, volutamente soli contro la nudità delle pareti bianche. Sono realizzati in materiali diversi, comunque poveri: terra, ferro e legno.

 

Selinunte

La stazione che apre il percorso della mostra, l’ho scoperto molto dopo, viene proprio dal mondo greco di Selinunte, che da Mazara dista ben poco quando drizzi la vela… Venni in Sicilia per la prima volta apposta per vedere Selinunte; era la primavera del 1980 e volevo camminare dentro la città sconvolta dal lontano terremoto, con le colonne cadute e rimaste a terra, a formare una sorta di paesaggio fatto di cilindri ammassati che avevo visto nei disegni di Tono Zancanaro, un padovano stregato dalla Sicilia. Quei “cilindri” erano gli ammassi di tubi di terracotta che cominciai a plasmare e accumulare molti anni più tardi.



Metope

Al Museo Archeologico di Palermo le metope dei templi crollati di Selinunte costituiscono una pagina impressionante della scultura greca preclassica. Tra esse, per la sua verticalità fatta a triangoli, colpisce l’”Atteone sbranato dai cani”: se è vero che siamo ciò che abbiamo visto, i miei quadrotti in terracotta serrati da una cornice, che negli anni ho continuato ciclicamente a realizzare, probabilmente vengono da lì. Dentro queste cornici i miei stilemi astratti si ripetono, e credo si ripeteranno ancora in infinite varianti, fino a formare una lunghissima sequenza di un tempo immaginario ma sostanzialmente vero, le cui radici affondano in un mondo che è stato ma perdura e ancora si respira nei paesaggi di queste terre.



Teste

Anche le teste forate, vuote e scavate come le zucche di Halloween, sono un tema che torno a declinare. Forme realiste rese astratte dalle aperture degli stilemi che ho elaborato in anni e anni di disegni e rilievi. Rappresentano un’umanità colpita e travolta da eventi drammatici, segnata da sconvolgimenti epocali e svuotata di storie e identità proprie; potrebbero essere gli operai di Porto Marghera, via via scomparsi con la chiusura delle fabbriche, o forse gli spettatori fossili di una televisione che depriva di pensieri autonomi; o, ancora, ciò che resta delle migliaia di naufraghi inghiottiti dal Mediterraneo… Le teste qui a Mazara sono circondate da un recinto di rete, per accentuare lo stato di prigionia in cui versano gli esseri umani.



Flebo

La terra inaridisce e si spacca, l’acqua scarseggia sempre di più spingendo gli uomini a sempre più drammatiche migrazioni, mentre gli oceani salati abbondano dei rifiuti di plastica della pratica suicida dell’usa e getta; gli imbuti di terracotta dai quali fuoriescono microtubature, alti sui loro trespoli di ferro posti su un cumulo di terra secca, vogliono esserne una metafora, forse inutile, ma eticamente doverosa.



Il bosco

Anni fa disegnavo e modellavo quelli che chiamavo giardini in scatola, piccoli pezzi in terracotta e ceramica che volevano raccontare una natura sempre più imprigionata e condizionata da una cementificazione usata senza intelligenza e lungimiranza, che involge le città e distrugge senza sosta il paesaggio. Diversamente da quelle piccole cose di terra, Il bosco è un grande gruppo costituito da “piante” e “alberi” in acciaio arrugginito, una selva puntuta e scheletrita che, con la sua dimensione, parla ancora più forte del pericoloso conflitto in atto tra l’uomo e la natura.



La città

Ho amato e amo ancora Tommaso Campanella, ma da molto tempo diffido sempre di più delle utopie e nutro paura delle Città del Sole; là dove tutto è disegnato si annidano spesso l’infelicità, l’angoscia, il male di esistere. La mia città ideale è quella dei contrasti, delle diversità accumulate dove le costruzioni, come gli abitanti, raccontano la propria storia. I pezzi di quest’ultima installazione sono unici e nati per stare a sé stanti, sculture autonome frutto di varianti potenzialmente infinite ma che, insieme, diventano una città, un’aggregazione che, se viva, può cambiare ogni giorno. La mia città è una comunità in progress, sintesi mobile di un viaggio continuo nel ricordo dal quale emergono e si sommano frammenti di un’urbanistica dell’anima che non abbisogna di una dis-umana e coercitiva pianificazione.



Imbarcazioni

Nel corso degli anni, seguendo spunti e flussi disordinati nati dalla manipolazione dell’argilla, mi sono ritrovato tra le mani le forme di piccole “barche fantastiche”. Le ho chiamate, e la prima non a caso è il logo di questa mostra, Barche dell’anima, riflessioni inconsapevoli dell’andare in viaggio attraverso i mari. Sono imbarcazioni di terra bianca o scura, spesso plasmate o disegnate davanti all’Adriatico, nella mente l’eco delle poesie di Andrea Zanzotto e, forse, il ricordo delle barche dei faraoni o di quelle, antichissime, della Cina. Per Mazara, il grande porto sul Mediterraneo, le ho tirate fuori dagli scaffali del mio studio e ne ho realizzate di nuove, utilizzando anche il legno e il ferro: a queste ultime appartiene anche la nave-sarcofago nera di catrame sulla quale svettano, rossi come il fuoco, i miei segni caratteristici. Da millenni davanti a Mazara passano gli uomini: pescano, viaggiano, rischiano la vita, sempre mossi dal bisogno e dall’inquietudine, dalla necessità di scoprire e capire l’altro. Passano, talvolta approdano, e poi ripartono…